“… Dunque, forse per la prima volta in vita mia (sebbene si ritenga che io mediti tutti i giorni!) ho preso la lampada e, lasciando la zona, apparentemente chiara, delle occupazioni e relazioni quotidiane, sono sceso nel più intimo di me stesso, in quell’abisso profondo dal quale sento confusamente emanare la mia capacità d’agire. Ora, a mano a mano che mi allontanavo dalle convenzionali evidenze che illuminano superficialmente la vita sociale, mi accorgevo di sfuggire a me stesso. A ogni gradino che scendevo, scoprivo in me un altro personaggio di cui non potevo più dire il nome esatto, e che non mi obbediva più. E quando ho dovuto porre fine alla mia esplorazione, perché la strada mi veniva meno sotto i passi, v’era ai miei piedi un abisso senza fondo dal quale, venendo da chissà dove, usciva il flusso che oso pur chiamare la mia vita.” (L’ambiente divino -1957)

 Queste parole scritte da Teilhard de Chardin, aprono il secondo paragrafo della seconda parte del libro, ovvero la sezione dedicata a “la divinizzazione delle passività”. (altro…)